Bilibio Eugenio: che dire… il grande vecchio.
E’ con le lacrime agli occhi (sono Tode) che mi accingo a scrivere queste poche righe da cui non si potrà minimamente estrapolare la totalità di Eugenio, ma spero di riuscire a trasmettervi la sua essenza, la sua passione: il suo cuore. Quando da piccolo mi sono avvicinato alla palestra del patronato Leone XIII sono stato accolto dal buon Giancarlo Fin, ma subito rimasi affascinato da quel burbero signore in lupetto color mattone, con quegli strani grandi occhiali oscurati che giocava nei tavoli centrali. Dopo poche settimane finalmente riuscii a giocare con lui. La sua passione, la sua pazienza, la sua educazione, ma soprattutto la sua tenacia mi conquistarono subito. A forza di “DEI FIOLO”, “OCIO CHE A TOCA”, “BOIA SCHEO”, “TI SI IN PIE COME I CAVAI”, “CORI VA, SINQUE GIRI DE A PAESTRA!”, “NDE VANTI FANDO QUESTO”. Eugenio ha trasmesso a tutti noi cosa vuol dire amare questo sport, dedicarvisi con abnegazione e senza pretendere niente. Per qualsiasi cosa lui c’era. Si partiva dalla “preparazione atletica”: saltare ostacoli di 20 cm, fare scattini di 5 metri, saltelli sul posto con elevazione di pochi cm, strani movimenti con le mani, corsa fra i tavoli… a chi osservava poteva far sorridere, ma cementava in noi lo spirito di squadra e ci legavamo sempre più al nostro burbero allenatore. Si continuava con scambi al tavolo dritto e rovescio. La sua presenza era costante, girava fra i tavoli. Sentivi i suoi occhi su di te. Quando si avvicinava ti irrigidivi perché volevi dare il meglio, mostrargli che tu lo seguivi. Lui veniva dietro di te e ti guidava nei movimenti, e tu eri felice e fiero che dedicasse a te quel tempo. Si proseguiva con schemi, cesti di servizi e infine partite. Tutti sapevano che lui ti vedeva, anche quando non ti guardava. C’era rispetto, da entrambe le parti. Ogni tuo servizio sbagliato, ogni comportamento sopra le righe, ogni mancanza era seguita dal suo fischio fiacco e stonato e la frase: “CIO BOCIA: FA SIQUE GIRI, CORI!” Nessuna discussione. Si partiva e si correva. Lui aveva ragione a prescindere, se aveva detto così magari si brontolava ma si ascoltava. Lui aveva esperienza, lui si dedicava a noi. Si dedicava talmente a noi che più di qualche volta si prendeva l’onore di caricarci tutti nello sgangherato pulmino societario per portarci a tornei o partite di campionato. Quante risate, quanti aneddotti che ci ha regalato. Dall’inserimento della retro in partenza ad un semaforo, alle grattate al cambio quando gli affidarono il pulmino nuovo a cui non era avvezzo, alla “CASA DEI FIOI BANDONAI” accompagnandoci al torneo di Paese. Si dedicava talmente a noi che passava le ore a insegnarci a servire. Sempre e solo lo stesso servizio, ma almeno uno lo si imparava. Si dedicava talmente a noi che passava lo ore ad alzare pallonetti urlando “OCIO CHE A TOCA” per insegnarci a schiacciare su palla alta. Si dedicava talmente a noi che non una volta gli ho sentito dire NO ad una nostra domanda o richiesta. Sull’Eugenio giocatore c’è poco da dire. Scorbutico lo è sempre stato: ma esempio di correttezza e sportività pure. Il dritto senza prestese, ma con quel rovescio e giro faceva fare alla palla quello che voleva. Citiamo solo la vittoria al campionato nazionale veterani. Da vecchia roccia qual’è, nonostante tutte le difficoltà e i problemi di cui ha sofferto e soffre, ancora presenzia quasi ogni allenamento, anche se per pochi minuti. Dietro l’occhiale oscurato si vede ancora negli occhi il guizzo della passione, sotto il lupetto color mattone si sente ancora il cuore colmo di voglia. Segue i ragazzini, cerca di trasmettere, forse non con la stessa forza ma con la stessa voglia di prima di sicuro, salvo poi un pò per la mancanza di riscontro dei suoi “allievi” un pò perché il tempo erode pure le roccie più resistenti, si allontana sempre con quel suo viso triste e burbero: “vo via fra sinque minuti”. Ma si vede: la voglia di restare sarebbe tanta. E tu ci sei Eugenio, dentro tutti quelli che hai cresciuto sportivamente. Posso solo dire ai ragazzi che sembrano a fatica soppotare i suoi modi e i suoi “ordini”: siete fortunati. Magari adesso non lo vedete, ma lo capirete e ringrazierete anche voi Eugenio. Probabilmente chi non ha avuto la fortuna di essere seguito da lui leggendo queste poche righe non capirà, non avra il tremito, la malinconia che ho io scrivendole, ma chi anche solo per poco ha avuto il piacere di AVERE Eugenio per sé capirà fino in fondo quello che scrivo e provo. Io personalmente, e qui chiudo perché non riesco a proseguire, posso solo dire: grazie Eugenio.
Tuo allievo Francesco